Nel nostro precedente articolo abbiamo parlato di evasione fiscale, entrando nel merito della sua definizione e approfondendo le circostanze in cui questa viene ritenuta talmente grave da dare inizio a un procedimento penale.
In questa sede vogliamo invece concentrarci sulla possibilità di richiedere il patteggiamento in caso di reati fiscali, ossia di condotte illecite che possono essere punite con la reclusione. Ricordiamo che i reati fiscali principali includono la dichiarazione fraudolenta, la dichiarazione infedele, l’omessa dichiarazione, l’omesso versamento di IVA o di altre ritenute, l’emissione di fatture false e gli occultamenti contabili.
Per quanto riguarda invece il patteggiamento (chiamato anche applicazione della pena su richiesta delle parti e disciplinato ai sensi dell’art. 444 e successivi del Codice di Procedura Penale), si tratta di un procedimento speciale che viene svolto in alternativa al rito ordinario: la sua principale caratteristica è quella di permettere all’imputato di trovare un accordo il Pubblico Ministero in merito alla pena. In estrema sintesi, l’imputato che richiede il patteggiamento rinuncia a contestare le accuse a suo carico e, in cambio, riceve uno sconto di pena fino a un terzo (non superando mai i cinque anni).
Quando si può patteggiare in caso di reati tributari
La possibilità di patteggiamento tra imputato e Pubblico Ministero è possibile anche in caso di reati tributari, ma soltanto in presenza di specifiche condizioni: l’applicazione della pena su richiesta delle parti può avvenire infatti solo nel caso in cui i debiti fiscali oggetto della contestazione– incluse le sanzioni amministrative e gli interessi – siano stati completamente estinti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Queste, in estrema sintesi, sono le previsioni stabilite dall’art. 13 bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000:
“Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2.”
E ancora, secondo il comma 1 del medesimo articolo:
“Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.”
L’obiettivo di tale approccio è facilmente intuibile: evitare che gli evasori fiscali vengano condannati a pene più lievi senza il versamento delle somme dovute nelle casse dello Stato.
Le indicazioni della Cassazione sul patteggiamento in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti (e delitti dichiarativi in genere)
Vale senza dubbio sottolineare che, secondo la sentenza n. 25656 emessa il 27 maggio 2022 dalla Corte di Cassazione, la preclusione all’applicazione della pena su richiesta delle parti (ossia di patteggiamento) in caso di mancata estinzione del debito tributario è applicabile anche al reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Anche questo delitto produce infatti un debito nei confronti dell’Erario, poiché “se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.”
La Suprema Corte di Cassazione indica pertanto che in tali circostanze, al fine di poter accedere al patteggiamento, l’indagato dovrà prima di tutto effettuare il pagamento integrale dei debiti tributari comprensivi di sanzioni amministrative e di interessi.
L’orientamento della Cassazione risulta quindi restrittivo, con il diniego del patteggiamento in assenza dell’estinzione del debito tributario, quantomeno per quanto riguarda i delitti dichiarativi.
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