Di recente, abbiamo approfondito i doveri e le responsabilità che ricadono sul datore di lavoro nel caso in cui si verifichi l’infortunio di un dipendente. La tematica rientrava nel più ampio argomento delle garanzie e delle responsabilità nell’ambito della Sicurezza sul Lavoro, che nuovamente andremo in questa sede a esplorare parlando specificamente delle posizioni di garanzia del datore di lavoro, del dirigente e del preposto.
In questo senso, bisogna prima di tutto ricordare che un infortunio sul posto di lavoro rientra sempre nella sfera di responsabilità di una particolare figura: questa sarà il preposto se l’incidente è legato all’esecuzione materiale dei lavori; il dirigente se connesso all’organizzazione dei lavori; e infine il datore di lavoro se risultato di scelte gestionali “a monte” dell’impresa. Ciò significa che queste tre figure hanno tutte responsabilità in materia di sicurezza e che tale responsabilità è da considerarsi di fatto, ossia valida anche laddove non vi siano una nomina o una delega specifica.
La posizione di vigilanza e controllo è dunque un obbligo sempre inderogabile per il datore di lavoro, e nel caso in cui questi abbia delegato un’altra figura per l’applicazione delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza degli operatori, avrà comunque la responsabilità di vigilare che i compiti affidati e le funzioni trasferite vengano applicate correttamente.
In questo senso, è una breve ordinanza emessa nel 2019 dalla Sezione VII penale della Corte di Cassazione a fornire conferma a seguito del ricorso presentato da un datore di lavoro che, successivamente a un incidente sul luogo di lavoro, si era difeso sostenendo di aver delegato i profili organizzativi legati alla sicurezza ad altre figure aziendali.
Il ricorso in questione è stato dichiarato inammissibile perché basato su un motivo infondato, dal momento che il datore di lavoro è per sua natura obbligato alle prescrizioni legate alla sicurezza e quindi responsabile di esse.
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Le garanzie del dirigente e del preposto: basate sull’attuazione “di fatto” di compiti prevenzionistici
Chiarito questo, è comunque importante sottolineare che esistono delle nette differenze tra la posizione di garanzia del datore e quelle del dirigente e del preposto.
Dal punto di vista del Diritto Penale del Lavoro, va ad esempio precisato che il dirigente è considerato quella figura che, di fatto, svolge i necessari compiti di prevenzione degli infortuni sul lavoro a prescindere dalla presenza di un reale contratto di lavoro subordinato con la qualifica di dirigente.
Al contrario, una figura professionale che, pur avendo un contratto da dirigente, non gestisce i lavoratori e dunque non vanta un reale potere organizzativo sui dipendenti non può essere considerato un dirigente per il Diritto Penale del Lavoro.
Il medesimo principio può essere in questo senso applicato anche al preposto che, lo ricordiamo, è la figura deputata a sovrintendere tutte le attività di cui è incaricato il gruppo di lavoratori ed è pertanto responsabile – pur nell’ambito delle proprie specifiche attribuzioni e competenze – di attuare le necessarie misure di prevenzione e protezione. Più specificamente, il preposto ha il dovere di vigilare oggettivamente sull’attuazione degli adempimenti di sicurezza e di vigilare soggettivamente sull’osservanza delle disposizioni previste da parte di tutti i lavoratori.
In termini pratici, il preposto dovrà supervisionare ad esempio l’utilizzo dei necessari DPI, attuare il piano di controllo e manutenzione sulle macchine; segnalare inadempienze o comportamenti scorretti ai propri superiori e verificare l’eventuale presenza di rischi imprevisti sul luogo di lavoro. Non è invece deputato ad adottare e organizzare le misure di prevenzione a meno che tale compito non sia espressamente dichiarato in un’apposita delega.
Per quanto riguarda invece il dirigente, tale figura è incaricata della gestione del sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività di lavorativa – come accennato in apertura di articolo e come espressamente indicato dalla Cassazione Penale, Sez. 4, 01 agosto 2016, n. 33630.