Esempi di aggiotaggio bancario e societario
Nelle scorse settimane abbiamo affrontato l’argomento dell’aggiotaggio parlando innanzitutto della sua definizione e tipologie e spiegando poi più in dettaglio la differenza tra aggiotaggio e insider trading.
Ricordiamo che i reati di aggiotaggio societario e bancario, disciplinati rispettivamente dall’articolo 2637 del Codice Civile e dall’articolo 138 del Testo Unico Bancario, si riferiscono all’alterazione del prezzo degli strumenti finanziari o della credibilità del pubblico nei confronti di gruppi finanziari o istituti di credito: tali condotte, potenzialmente lesive, rientrano nella categoria dei cosiddetti reati di pericolo (e, più specificamente, dei reati di pericolo a commissione anticipata) poiché sono finalizzate all’alterazione del prezzo di merci o valori al fine di trarne un vantaggio indebito e personale.
Per chiarezza, è anche opportuno tenere a mente che l’aggiotaggio bancario fa riferimento a condotte tenute verso gli istituti di credito, con l’obiettivo di screditarli o di condizionare la fiducia del pubblico nei loro confronti, mentre l’aggiotaggio societario è relativo alla condotta lesiva su strumenti finanziari non quotati all’interno di società, o per i quali l’ammissione alla quotazione non è ancora stata richiesta.
Ma quali sono i più noti casi di cronaca relativi a queste due fattispecie di reato che permettono di comprendere appieno il loro meccanismo?
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I più celebri casi di aggiotaggio societario: dal crac Parmalat al caso Lazio
Quello che senza dubbio è considerato ancora oggi il più noto caso di aggiotaggio societario assurto alle cronache italiane (nonché il più grande scandalo del genere perpetrato da una società privata in Europa) riguarda il crac Parmalat avvenuto nei primi anni Duemila.
Verso la fine del 2003, venne reso noto che l’azienda di Callisto Tanzi, che successivamente si scoprirà essere già in crisi finanziaria dall’inizio degli anni Novanta, avrebbe cercato di accrescere il proprio titolo azionario collaborando con professionisti disponibili a fornire informazioni non veritiere e finalizzate ad accrescere il valore della società stessa (si stima che l’ammanco mascherato dal falso in bilancio si aggirasse addirittura sui quattordici miliardi di euro).
Lo scandalo, che faceva riferimento a reati sia di aggiotaggio societario che di bancarotta fraudolenta, si concluse con il fallimento della nota società alimentare (nel 2005, Parmalat venne affidata all’amministrazione straordinaria speciale di Enrico Bondi, che ne risanò parzialmente i conti) e con la condanna a ben diciotto anni di reclusione del patron Tanzi e a nove del direttore finanziario Fausto Tonna. Pene detentive vennero comminate anche a diversi collaboratori dell’azienda tra dirigenti e revisori dei conti.
Tragicamente, il crac della Parmalat non si limitò a causare il crollo finanziario della società, ma anche il totale azzeramento del patrimonio azionario dei piccoli azionisti che nell’impresa avevano investito nel corso degli anni.
Un altro celebre caso di aggiotaggio societario è relativo al presidente della squadra calcistica Lazio, Claudio Lotito, che, nel 2005 e con la complicità di altri imprenditori, avrebbe acquistato un pacchetto di azioni del team pari al 14,6% – di fatto superando la soglia del 30% del pacchetto azionario senza aver lanciato un’offerta pubblica d’acquisto (e dunque ingannando il mercato).
Nel 2009, Lotito venne condannato a due anni di reclusione dai giudici della seconda sezione del Tribunale di Milano per i reati di aggiotaggio e ostacolo alla CONSOB in relazione alle operazioni svolte sui titoli azionari della società calcistica. Queste ultime vennero condotte con la collaborazione dell’imprenditore Roberto Mezzaroma, anch’egli condannato con le stesse accuse per aver acquistato il pacchetto di azioni proprio per conto dell’allora presidente del club biancoceleste: un’interposizione illecita che aveva evitato a Lotito il lancio di un’Opa.
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L’aggiotaggio bancario nelle cronaca: il caso Popolare di Vicenza e il caso Ricucci
Per quanto riguarda invece i più noti esempi di aggiotaggio bancario, nelle cronache italiane è possibile fare riferimento al caso della Banca Popolare di Vicenza, il cui presidente Gianni Zonin e amministratore delegato Samuele Sorato vennero accusati, nel 2017, di aver falsamente attestato il valore delle azioni del gruppo contribuendo non solo a penalizzare il mercato, ma soprattutto a danneggiare i piccoli risparmiatori.
Essenzialmente, investitori e correntisti dell’istituto di credito vennero messi in condizione di acquistare azioni e altri prodotti finanziari a prezzi decisamente più elevati rispetto a quelli reali, con conseguenti ingenti perdite e scarsissime probabilità di recupero, come confermato anche dal procuratore capo Antonino Cappelleri incaricato dell’inchiesta: “Gli azionisti, in quanto tali, sono la banca. Non avranno diritto a inserirsi come creditori nell’eventuale procedura fallimentare.”
Gli indagati per i reati di aggiotaggio bancario, ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità di vigilanza e falso in prospetto furono oltre una decina, per un caso che si è concluso soltanto recentemente con la sentenza 348/2020 della Sezione Penale del Tribunale di Vicenza. Nello specifico, la sentenza dichiara “la responsabilità penale e civile di una parte degli imputati, in qualità di presidente e di componenti del consiglio di amministrazione e delle divisioni della Banca Popolare di Vicenza, per i delitti di aggiotaggio, ostacolo alle funzioni di vigilanza e falso in prospetto, affermando altresì la responsabilità amministrativa, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, della Banca predetta, già in liquidazione coatta amministrativa, per i soli delitti presupposto di aggiotaggio e ostacolo alle funzioni di vigilanza, di cui rispettivamente agli artt. 2637 e 2638 c.c.”.
Infine, tra i casi di aggiotaggio bancario più noti alle cronache italiane non può mancare quello relativo all’immobiliarista romano Stefano Ricucci, accusato di aver messo in atto due operazioni bancarie con l’ausilio di altrettante “società schermo” a lui stesso riconducibili e responsabili dell’acquisto delle azioni del gruppo editoriale RCS – la società editrice del Corriere della Sera – con l’aiuto di un finanziamento proveniente da istituti di credito statunitensi.
Successivamente all’acquisto delle azioni, le società schermo di Ricucci ne dichiararono un prezzo di mercato superiore a quello reale, aumentando in tal modo le quotazioni del gruppo.
Il caso, risalente al 2005 e soprannominato “Bancopoli” o “I furbetti del Quartierino”, metteva inoltre in evidenza i legami di Ricucci con Banca Popolare di Lodi (di cui divenne per un periodo persino il maggior azionista) e con il banchiere e dirigente d’azienda Gianpiero Fiorani, peraltro a sua volta coinvolto anche nei casi Parmalat e Banca Antonveneta.
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